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25 aprile
Riportiamo il testo del discorso del sindaco Michele Faglia al monumento ai Caduti in occasione delle celebrazioni del 25 aprile 2004.


Sono passati 59 anni dalla liberazione dal nazi-fascismo.
E' ancora con viva passione che oggi teniamo alta la memoria di una Resistenza che fu moto di ripulsa anzitutto morale ad un potere ingiusto, violento, antidemocratico.
I crimini commessi dai regimi nazista e fascista offendono le più elementari regole della convivenza civile, ledono i principi di uguaglianza e libertà che sono alla base della democrazia e non possono lasciare indifferenti nemmeno a distanza di quasi sessant'anni.
La memoria è per noi un dovere etico, per formare le coscienze dei nostri figli, perché non si ripeta l'orrore dell'odio razziale ed il disprezzo per la vita umana.
E voglio ringraziare, per noi “figli della Resistenza” tutte quelle associazioni, in primo luogo ANPI, ANED ed ANEI e tutti quei testimoni diretti che si spendono per divulgare la loro storia, in particolare nelle scuole: un ringraziamento per il loro impegno a formare, e non certo a manipolare le coscienze dei nostri giovani, come ancora qualcuno vuol far credere commettendo una forzatura ideologica inaccettabile.

Sono orgoglioso d'essere monzese, d'essere di quella terra di Brianza che seppe esprimere i suoi più profondi sentimenti antifascisti ed il tenace spirito di resistenza e di lotta che l'animò, dapprima per tentare di bloccare le forze politiche più reazionarie e lo squadrismo nero, poi il dilagare della dittatura con tutto ciò che ne conseguì: mancanza di libertà, censura, soppressione delle organizzazioni politiche, sindacali ed economiche, razzismo ed antisemitismo.
I fascisti, nelle ultime libere elezioni comunali del 1923, periodo a loro più favorevole, non riuscirono a conquistare il Comune.
Il responso delle urne confermò quelle forti tendenze antifasciste che animavano le nostra Brianza.
Il blocco filofascista, il cosiddetto “listone” si trovò con soli 3158 voti, meno del 18% dei voti, costretto ad accontentarsi di un ruolo di minoranza.
Dopo la sconfitta elettorale i fascisti organizzarono minacce, pestaggi, aggressioni, nei confronti anche dell'ultimo sindaco socialista Enrico Farè e di Giuseppe Citterio ex assessore, fino a giungere, nella notte tra il 12 ed il 13 giugno del 1923 all'assalto della Tipografia sociale monzese ove era stampato il Cittadino.
Mons. Luigi Talamoni, oggi beato, candidato popolare, ottenne ben 6290 voti di preferenza e per questo verrà insultato dai fascisti, lui, il Santo di Monza, lui che in trent'anni di impegno civico si schierò sempre a favore di ciò che era giusto per la città, invitando sempre all'unità oltre le parti politiche e le ideologie ed ispirandosi alla propria coscienza.
Nella infiammata seduta di Consiglio che seguì alle aggressioni fasciste, dopo che i popolari si rifiutarono di votare un ordine del giorno di completa adesione al governo, i fascisti abbandonarono l'aula ed i membri della maggioranza vennero malmenati.
Nel mese di agosto 1923 l'amministrazione comunale, sindaco l'avv.Antonio Mascheroni, rassegnava le dimissioni nelle mani del prefetto “obbediente al consiglio espresso, in forma ufficiale da Sua Eccellenza il Prefetto di Milano” e rifiutandosi di modificarne la motivazione come il prefetto stesso reclamava.

Le elezioni politiche dell'aprile 1924 sia in città che in Brianza segnavano un nuovo successo dei popolari e dei socialisti unitari che non permisero al “listone” di andare oltre quel 18% provocando reazioni e testimoniando l'ostilità della grande maggioranza dei brianzoli al nuovo corso.
Vengono diffusi manifesti con il seguente proclama:”Fascisti! Il popolo ha già sofferto abbastanza, non lo dobbiamo più picchiare ma compiangere. Bisogna picchiare in alto, colpire i capi, i responsabili della rovina dl nostro paese. Fascisti! Se incontrate Riboldi, Reina, Marelli, Grandi, Casanova ecc. picchiateli senza misericordia. Dobbiamo liberare Monza e l'Italia da questo marciume che le infesta. Morte agli indecenti sfruttatori del proletariato!
Altre scorribande e devastazioni ancora al Cittadino, a circoli e cooperative di parte cattolica e socialista.
L'eco di queste azioni punitive “a tappeto” suscitò viva impressione anche in Vaticano tanto che Pio XI inviò 500.000 lire per riparare i danni dei circoli e delle organizzazione cattoliche.

Nove mesi dopo, il 3 gennaio 1925, il capo del governo, sotto accusa per il delitto Matteotti, con il sostegno del re, inaugurerà la dittatura.
Presto arriveranno le “leggi fascistissime” con nuove prerogative in esclusiva al capo del governo che lo sottraggono al controllo del parlamento, con l'istituzione della pena di morte e del tribunale speciale per la “difesa dello Stato”, con provvedimenti di repressione contro i partiti, i sindacati, contro la libertà di stampa, con la soppressione delle libertà comunali, per “una nuova politica demografica in difesa della stirpe” e di uno “stato corporativo”.
Fra i brianzoli il primo a subire l'incarcerazione fu Ezio Riboldi, ex sindaco di Monza, deputato. Dopo l'attentato di Bologna a Mussolini (31 ottobre 1926)si scatenò anche a Monza una furibonda caccia all'uomo.
Socialisti, comunisti, popolari furono aggrediti e pestati.
Bracesco, Valverde, Edoardo e Toni Colombo con una corda al collo vennero trascinati per la città e poi impiccati in piazza Roma con l'accusa di “aver partecipato a riunioni per riorganizzare il partito comunista in Brianza”

Fu la fine del libero Comune.
Da qui iniziò la Resistenza anche di Monza e della Brianza che purtroppo non fu sufficiente a fermare la fine dello Stato parlamentare.
La Resistenza di chi rifiutava l'omologazione, l'accettazione acritica di un nuovo regime che conquistava spazi imponendosi con la forza e la sopraffazione anche fisica e che stava volgendo in dittatura.
La Resistenza pacifica dei sentimenti democratici intimamente conservati e non traditi, della non violenza, della libertà di pensiero e di esercizio ideologico e politico trattenute ma non inespresse.
La Resistenza che maturava nelle mura domestiche e che portava anche molte donne ad impegnarsi pacificamente contro il regime che porterà alla tragica alleanza nazi-fascista delle epurazioni razziali per l'eliminazione del popolo ebreo ma con esso anche di chiunque non fosse allineato e consenziente.
La Resistenza silenziosa e tragica dei deportati, dopo gli scioperi del '44 e degli internati nei campi di concentramento e nei campi di sterminio che venivano privati della loro identità di esseri umani, che erano costretti a lavorare per la guerra in cambio della salvezza o che rifiutavano la collaborazione mettendo ancor più a repentaglio la propria sopravvivenza.
Tanti morti, tanti caduti innocenti custoditi nel nostro caro monumento che Vladimiro Ferrari, partigiano, eccellente custode di questa memoria, già consigliere comunale. Vicesindaco e presidente Anpi, che ha lasciato un grande vuoto con la sua recente scomparsa, definì
non un monumento alla guerra ma contro la guerra perché ci ammonisce a non ricorrere più a carneficine per risolvere i problemi tra i popoli”.
Ma non fu sufficiente.
La Resistenza pacifica, dopo l'8 settembre del 43, si dovette organizzare in resistenza armata, in resistenza partigiana clandestina, alla macchia, per contrastare le stragi e lo sterminio, per sostenere l'avanzata degli alleati.
Anche in questa fase Monza fece la sua parte.
Gianni Citterio, Antonio Gambacorti Passerini, Fernando Tacoli, Amedeo Ferrari, pagando con la propria vita, Giambattista Stucchi, l'on.Reina, Ferruccio Parri, Carlo Casanova, Fortunato Scali, Luigi Fossati e tanti altri testimoniando l'impegno all'interno dei Comitati di liberazioni..
Vennero accantonate le differenze politiche ed ideologiche e si ricostituì quello stesso blocco antifascista che aveva caratterizzato i risultati elettorali del 1923 e del 1924.
Cattolici popolari, socialisti, liberali, comunisti ed il partito d'azione, agirono unitariamente per costruire la nuova Italia, l'Italia della Costituzione e della democrazia.

La nostra non è dunque una vuota celebrazione del passato, bensì l'occasione per guardare dentro a noi stessi e chiederci se quanto stiamo facendo per accogliere l'eredità dei nostri padri sia sufficiente a costruire un mondo di pace e di giustizia.
Ha scritto un grande dell'antifascismo, uno dei padri della nostra Costituzione, Piero Calamadrei.
“In queste celebrazioni…di fatti e di figure di quel tempo, noi ci illudiamo di essere qui, vivi, che celebriamo i morti. E non ci accorgiamo che sono loro, i morti, che ci convocano qui, come dinanzi ad un tribunale invisibile a render conto di quello…che possiamo aver fatto per non essere indegni di loro, noi vivi”
“Quando pensiamo a loro per giudicarli, ci accorgiamo che sono loro che giudicano noi: è la nostra vita, che può dare un significato ed una ragione rasserenatrice e consolante alla morte e dipende da noi farli vivere o farli morire per sempre”
Cosa facciamo, allora, per esser degni eredi dei nostri padri, che hanno lasciato la vita per la libertà e la democrazia?
Cosa facciamo per impedire le guerre, per non allinearci omologandoci a quello che dice e decide il più forte, per rivedere criticamente le nostre debolezze e le nostre pretese di superiorità e di diversità, per non seminare odio e violenza ma solo cooperazione e solidarietà?
Cosa facciamo per capire quali sono le cause del terrorismo che sta attanagliando il mondo e la vita di tante vittime innocenti, per rimuoverne le cause non limitandoci a condannarne l'esistenza senza capirne le disperate ragioni?
Io dico che non facciamo abbastanza.

Credo che sia necessario un più intenso impegno del mondo politico e civico ma anche della nostra città per la pace nel mondo, destinando maggior informazione, attenzione, educazione e cultura anzitutto verso chi cerca cittadinanza ed integrazione nella società, ma anche verso le realtà più lontane e difficili, dimostrando come, oltre le opinioni e le ideologie, ci si possa unire a favore di altri uomini, donne, bambini, di altre comunità, senza un futuro, destinati alla sofferenza, alla disperazione ed alla morte, cooperando per ridare un piccolo od un grande segno di vicinanza e di speranza a favore della loro vita e della loro liberazione al pari di come noi, oggi, 25 aprile, festeggiamo la nostra.

Michele Faglia


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  25 aprile 2004